
Psicosomatica
Le nuove frontiere della ricerca in psicosomatica
di Nicola Grignoli, psicologo e psicoterapeuta
di Nicola Grignoli
Psicosomatica, approccio bio-psico-sociale e psicologia della salute
Il rapporto fra mente e corpo ci interroga sin dall’Antichità e se ne sono occupati filosofi, medici e psicoanalisti. È nata così la disciplina della psicosomatica, che ha cominciato a investigare come i fattori psicologici possano influenzare la salute fisica e viceversa. Si è capito che le emozioni, i pensieri e lo stato mentale di una persona possono avere un impatto significativo sul benessere fisico, influenzando la manifestazione e il corso di varie condizioni mediche.
Oggi la psicosomatica è parte dell’approccio bio-psico-sociale, una prospettiva teorica più ampia, trans-disciplinare e riconosciuta. La salute, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è “una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità”. Essa è influenzata da molteplici determinanti, tra cui la genetica, le esperienze di vita, lo stato emotivo e le relazioni sociali. Il modello bio-psico-sociale considera dunque la persona nel suo insieme, esplorando come le interazioni tra questi diversi livelli possano contribuire alla comprensione e al trattamento delle condizioni di salute.
La psicologia della salute è una specialità che integra l’esperienza della psicosomatica e l’approccio bio-psico-sociale per studiare ed agire concretamente sui fattori psicologici determinanti per la salute e la malattia (Vedi Box 1).
Questi approcci forniscono oggi una base teorica e pratica per comprendere e trattare una vasta gamma di condizioni mediche, promuovendo approcci terapeutici personalizzati e integrati per il benessere fisico e mentale.
Dalla teoria dello stress alla psiconeuroimmunologia
Due nuove importanti teorie che integrano i fattori bio-psico-sociali in un’ampia gamma di condizioni di salute sono state sviluppate negli ultimi decenni: una implica lo stress cronico e l’altra il coinvolgimento del cervello e della mente nella percezione del dolore. Queste teorie sono ben note in letteratura, ma è utile riassumerle qui per evidenziare la loro rilevanza attuale per la psicologia della salute.
Il modello dello stress cronico è stato sviluppato in fisiologia sperimentale e poi in epidemiologia per collegare i determinanti psicosociali a una serie di esiti negativi per la salute. Le prime osservazioni hanno mostrato, ad esempio, come l’esposizione allo stress cronico tendesse, dopo una fase di attivazione e resistenza, ad esaurire le risorse dell’organismo producendo uno stato di malattia. Si è progressivamente capito che, malgrado siamo predisposti a reagire a situazioni inattese, l’impossibilità cronica di controllare la situazione, trovare delle soluzioni e adattarsi agli eventi avversi sia la fonte di notevoli rischi per la salute. Chiaramente, non tutti beneficiano delle stesse condizioni di partenza per affrontare gli eventi salienti della vita e si è così anche evidenziato come le disposizioni biologiche, ma anche le risorse sociali o di personalità, possono rivelarsi dei punti di forza e di debolezza che fanno la differenza.
Il modello dello stress cronico (e i dati ad esso associati) è intrinsecamente bio-psico-sociale e ha portato a importanti scoperte sull’eziologia di molte malattie, in particolare di quelle non trasmissibili. Le prime ricerche hanno indagato la maniera in cui una ripetuta esposizione comportamentale a un evento avverso condizioni la risposta immunitaria. Oggi è ormai dimostrato che lo stress cronico percepito aumenta il danno biologico causando una disregolazione del sistema immunitario e modificando numerosi sistemi fisiologici.
La psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) è il campo interdisciplinare innovativo che studia queste interazioni complesse tra i processi psicologici e comportamentali, il sistema nervoso e il sistema immunitario. Ecco come le emozioni, i pensieri e gli stati mentali possono dunque influenzare la capacità del corpo di difendersi dalle malattie.
“Emozioni, pensieri e stato mentale di una persona possono avere un impatto significativo sul benessere fisico, influenzando la manifestazione e il corso di varie condizioni mediche”
La psicologia della salute gioca un ruolo fondamentale nella PNEI, in quanto contribuisce a definire quali sono i principali fattori psicologici in gioco. In quest’ambito, gli studiosi hanno dapprima approfondito la conoscenza degli stati patologici (ansia, depressione, stati post-traumatici). Oggi è ormai consolidato che l’infiammazione cronica e le risposte immunitarie alterate possono contribuire allo sviluppo e al mantenimento dei sintomi depressivi. Al di là della patologia, le ricercatrici e i ricercatori stanno ora esplorando sempre più i meccanismi adattativi positivi che permettono di promuovere la salute psicofisica. Ad esempio, disposizioni personali quali l’ottimismo, la gratitudine e l’autostima possono stimolare il sistema immunitario e favorire il benessere fisico. Stesso ruolo protettivo hanno dei fattori interpersonali quali le capacità di mentalizzazione (la consapevolezza dei propri stati d’animo o altrui), l’empatia percepita o le possibilità di comunicare, socializzare o anche di amare. La psicologia della salute esplora quindi in particolare il ruolo dei tratti di personalità, ma anche della comunicazione in ambito sanitario per la salute sia individuale che pubblica.
Un altro campo di indagine attuale si focalizza sul ruolo del sistema nervoso autonomo e del sistema endocrino nel modulare la risposta immunitaria. Il sistema nervoso autonomo è composto dal sistema simpatico e parasimpatico, e regola molte funzioni vitali del corpo, tra cui la frequenza cardiaca, la digestione e la respirazione. Si è scoperto che esso ha pure un’influenza significativa sul sistema immunitario, attraverso la produzione di ormoni e neurotrasmettitori che comunicano con le cellule immunitarie. Le ricerche attuali si concentrano dunque sullo studio delle abitudini di vita come quelle alimentari, di movimento o del sonno. Ad esempio, l’impatto di questi comportamenti sulla salute cardiovascolare è ormai assodato. L’obiettivo attuale è di capire come queste influenzano la nostra resistenza alle malattie addirittura modificando sia l’espressione che la trasmissione del nostro patrimonio genetico. Appare sempre più chiara la maniera in cui questi sistemi si influenzano vicendevolmente, positivamente e negativamente, aprendo nuovi orizzonti di prevenzione, diagnosi e cura.
Le applicazioni della PNEI in psicologia della salute realizzano quindi un ponte tra mente e corpo, offrendo un quadro completo della salute umana che tiene conto delle interconnessioni tra processi psicologici, neurologici, immunologici, endocrinologici e fisiologici. Continuando a esplorare questi legami complessi è possibile migliorare la nostra comprensione della salute e del benessere, verso l’apertura di nuove strade per la prevenzione e il trattamento delle malattie.
La psicologia del dolore
Il secondo esempio di teoria esplicativa emergente che presenta un’applicazione molto ampia in psicologia della salute riguarda l’esperienza del dolore.
I nuovi modelli del dolore coinvolgono infatti le valutazioni soggettive del dolore e i meccanismi associati di elaborazione del dolore a livello mentale. Questa nuova comprensione del dolore è eminentemente bio-psico-sociale, nella misura in cui la percezione del dolore dipende (anche) dalla persona e dal suo contesto di vita. Nel 2020 la International Association for the Study of Pain (IASP) ha aggiornato, dopo 40 anni, la definizione del dolore. Questo viene oggi descritto come “un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a, o che assomiglia a, un danno tissutale reale o potenziale”. Il dolore viene dunque definito come una sensazione complessa e soggettiva, che coinvolge non solo segnali fisici provenienti dai recettori del dolore nel corpo, ma anche processi mentali (cognitivi ed emotivi) nel cervello. Inoltre, ed è una nota essenziale, non è necessario il riscontro di una lesione biologica. La definizione IASP viene implementata dall’aggiunta di sei note integrative, utili per una sua migliore comprensione:
Il dolore è sempre un’esperienza personale influenzata a vari livelli da fattori biologici, psicologici e sociali.
Il dolore e la nocicezione sono fenomeni diversi. Il dolore non può essere dedotto solo dall’attività neurosensoriale.
Le persone apprendono il concetto di dolore attraverso le loro esperienze di vita.
Il racconto di un’esperienza come dolorosa dovrebbe essere rispettato.
Sebbene il dolore di solito abbia un ruolo adattativo, può avere effetti negativi sulla funzionalità e il benessere sociale e psicologico
La descrizione verbale è solo uno dei numerosi modi per esprimere il dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano o un animale provi dolore.
In questa definizione sono state integrate le conoscenze generate della psicologia del dolore, che esplora come le percezioni e le reazioni al dolore sono influenzate da fattori mentali e come queste influenze modulano a loro volta l’esperienza stessa del dolore.
La percezione del dolore può infatti variare notevolmente da persona a persona e può essere influenzata da fattori come l’età, il sesso, la personalità ma anche dalle esperienze passate e dalle credenze culturali. Dunque, uno degli aspetti centrali della psicologia del dolore è la comprensione dei pensieri e delle credenze legate al dolore. Le convinzioni personali sul suo significato e sulla relativa gestione possono influenzare la percezione, la soglia e la tolleranza al dolore stesso. Ad esempio, le persone che credono di avere poco controllo sul proprio dolore possono sperimentare una maggiore sofferenza rispetto a coloro che si sentono in grado di gestirlo in modo efficace.
Questi pensieri negativi, se persistono, tendono a cronicizzarsi creando uno stato mentale che è ampiamente studiato sotto il termine di catastrofizzazione, fattore psicologico determinante nell’esperienza dolorosa. Questa è caratterizzata dalla focalizzazione esclusiva del pensiero sulla percezione del dolore, da un’amplificazione dell’impatto dell’esperienza dolorosa e da un senso pervasivo di impotenza. Come i pensieri anche le emozioni giocano un ruolo fondamentale nell’esperienza del dolore, poiché condizioni di stress, d’ansia, o di depressione e altre emozioni negative possono aumentare la percezione del dolore e rendere ancora più difficile la sua gestione. Purtroppo, il tratto tipico dell’esperienza dolorosa è proprio il rischio di sviluppare un circolo vizioso degli aspetti psicologici ad essa legati. Infatti il dolore, quando cronico, può avere un impatto significativo sul benessere emotivo, portando a sintomi di depressione, ansia e stress cronico che vanno a peggiorare la percezione stessa del dolore, e così via.
La psicologia della salute integra le conoscenze derivate dallo studio del dolore esplorando i meccanismi di adattamento (o coping dall’inglese “to cope” affrontare) utilizzati da ognuno di noi per affrontare le difficoltà. Questi possono includere strategie cognitive, come la ristrutturazione cognitiva e la ricerca di significato, ed emotive come la combattività nonché strategie comportamentali come il rilassamento e la distrazione. Comprendere quali strategie di coping sono più efficaci per gestire il dolore può essere fondamentale per migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono di dolore cronico o debilitante. Inoltre, i fattori sociali sono da considerare come molto importanti nel modulare l’esperienza del dolore. È innegabile che il dolore possa condizionare negativamente le nostre relazioni sociali ed affettive. Ma è anche ormai noto, ad esempio, che il supporto sociale (avere ad esempio familiari, conoscenti o gruppi di appartenenza in prossimità) può avere un impatto significativo favorevole sulla percezione del dolore e sulla capacità di farvi fronte. Allo stesso tempo, l’isolamento sociale e l’invalidità sociale possono invece aggravare il dolore e rendere più difficile la sua gestione.
“La percezione del dolore può variare notevolmente da persona a persona, e può essere influenzata da fattori come l’età, il sesso, la personalità, le esperienze passate e le credenze culturali”
Infine, la psicologia della salute si interseca alla psicoterapia quando si occupa anche dell’efficacia degli interventi psicologici nel trattamento del dolore che integra tutti questi aspetti. Psicoterapie come la terapia cognitivo-comportamentale, la mindfulness ma anche la terapia relazionale o psicoanalitica hanno dimostrato di essere efficaci per molte persone nel ridurre il dolore e migliorare la qualità della vita.
In conclusione, la psicologia della salute integra le conoscenze bio-psico-sociali e fornisce un quadro completo per comprendere l’esperienza del dolore e sviluppare strategie efficaci per gestirlo. Integrando conoscenze provenienti da psicologia, neuroscienze e medicina, i ricercatori e i clinici possono migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono di dolore cronico o acuto, offrendo soluzioni personalizzate e basate sull’evidenza per il loro benessere.
Prospettive future
La psicologia dello stress cronico e del dolore rappresentano una parte cruciale della psicologia della salute, e offrono una prospettiva approfondita sulla comprensione della salute umana e delle malattie. Attraverso lo studio delle complesse interazioni tra mente e corpo, questo campo fornisce importanti insegnamenti sulle cause, le manifestazioni e il trattamento di una vasta gamma di condizioni mediche.
La comprensione dello stress cronico e del dolore ha evidenziato il ruolo significativo delle emozioni, dei pensieri e dei comportamenti nel modulare la salute fisica e mentale. Lo stress cronico, in particolare, è stato identificato come un fattore di rischio chiave per numerose patologie, dall’ipertensione e le malattie cardiache alla depressione e ai disturbi gastrointestinali. La psicologia dello stress ha contribuito a chiarire i meccanismi attraverso cui lo stress influisce sul corpo, tra cui l’attivazione del sistema nervoso autonomo, l’aumento dei livelli di cortisolo e l’infiammazione cronica, fornendo così una base per lo sviluppo di interventi mirati per mitigare gli effetti negativi dello stress sulla salute.
Allo stesso tempo, lo studio della psicologia del dolore ha rivelato l’importanza dei fattori psicologici nella percezione e nella gestione dello stesso. La psicologia del dolore ha dunque evidenziato come le credenze, le emozioni e le strategie di coping influenzino la percezione del dolore e la capacità di farvi fronte. Questo campo ha anche identificato interventi psicologici efficaci per il trattamento del dolore cronico che permettono di offrire soluzioni personalizzate e basate sull’evidenza per migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono di dolore persistente.
Le promesse di applicazione pratica della psicologia dello stress cronico e del dolore sono significative: integrando con approcci biomedici e altri interventi terapeutici le conoscenze provenienti da queste aree, è possibile sviluppare strategie di prevenzione e trattamento più efficaci per una vasta gamma di condizioni mediche (Vedi Box 2). Ad esempio, programmi di gestione dello stress possono essere implementati per ridurre il rischio di malattie metaboliche e cardiache e migliorare il benessere emotivo; mentre terapie psicologiche del dolore possono aiutare a ridurre la dipendenza dagli oppioidi e migliorare la qualità della vita per le persone con dolore cronico.
In conclusione, la psicologia della salute fornisce una prospettiva preziosa per comprendere la salute e la malattia, offrendo conoscenze sulle interconnessioni tra mente e corpo e identificando approcci terapeutici innovativi per migliorare il benessere individuale e sociale.