Diagnosi e terapie

Non solo diagnostica

A colloquio con il dottor Gaetano Paone, Primario Medicina Nucleare Istituto imaging Svizzera italiana EOC

“La Medicina nucleare nasce come disciplina diagnostica, acquisendo con il tempo sempre più uno spazio nell’ambito terapeutico che oggi rappresenta circa la metà della massa lavorativa”. A parlare è il professor Gaetano Paone che così introduce il ventaglio di opzioni di presa a carico terapeutica con isotopi radioattivi, nel quale le patologie della tiroide, malattia metastatica prostatica, metastatica ossea, malattia epatica primitiva e metastatica e tumori neuroendocrini sono quelle trattate con maggiore frequenza.

“Trent’anni fa la Medicina Nucleare era una disciplina nota per le indicazioni diagnostiche e per una parte terapeutica dedicata alla patologia tiroidea.  L’avvento della PET ha dato una spinta fondamentale allo sviluppo della diagnostica oncologica ed ha favorito nuovi sviluppi in ambito terapeutico. Negli ultimi quindici anni si è assistito a un grande incremento e a un’evoluzione dei farmaci a nostra disposizione; di conseguenza, si sono ampliate le indicazioni terapeutiche”, spiega il professor Paone, ponendo l’accento sul fatto che oggi, come Centro di Medicina nucleare dell’Istituto imaging della Svizzera italiana EOC: “Siamo allo stesso livello dei centri universitari nazionali e europei, e il pannello terapeutico che possiamo offrire al paziente è onnicomprensivo, con un accesso a tutte le opzioni di presa a carico”.

Così indica le principali opzioni terapeutiche: “Patologia tiroidea benigna e maligna (tumore tiroideo), tumore prostatico metastatico, tumore neuroendocrino metastatico, trattamento palliativo (tumori metastatici ossei), trattamento per patologia epatica localizzata”.

“Il radiofarmaco più noto è lo Iodio131 che è utilizzato per le patologie tiroidee come il tumore e l’iper tiroidismo (ndr: alterazione della quantità di ormoni presenti nel sangue, dovuta a un cattivo funzionamento della tiroide, ghiandola che regola metabolismo, sviluppo fisico e psichico, e controlla l’attività del cuore)”, afferma Paone, sottolineando che lo stesso radiofarmaco permette da un lato di curare la tiroide, dall’altro di avere le sue immagini grazie a fotoni beta e gamma: “Sono due tipi di radiazioni: una che tratta, l’altra che ci permette di ottenere immagini di quello che stiamo trattando”.

Un secondo isotopo radioattivo utilizzato a scopo terapeutico è il Lutezio177: “Ha caratteristiche molto simili a quelle dello Iodio131, con un effetto tumoricida e la possibilità di ottenere  delle immagini. Questo duplice ruolo permette di trattare il paziente in regime di degenza (precauzionale, per proteggere le persone vicine dai raggi da lui stesso emessi), e di eseguire le immagini con un esame scintigrafico per avere una mappa di distribuzione del farmaco. Ciò consente di individuare visivamente le lesioni metastatiche nelle quali il farmaco si è accumulato, e paragonarle a quelle già individuate con l’esame PET precedentemente eseguito”.

La terapia nella Medicina nucleare permette di colpire il cuore del tumore, come in un “tiro con l’arco”, 
senza irradiare il tessuto sano circostante

Lo specialista introduce in tal modo il concetto della Teragnostica: “Quello che succede è paragonabile a una sorta di “tiro con l’arco” al cuore delle lesioni tumorali che sono il bersaglio da colpire: con la PET e con alcuni radio-traccianti  possiamo visualizzare con precisione assoluta questo bersaglio tumorale. In seguito, si somministra  al paziente un  isotopo radioattivo che andrà a colpire il bersaglio tumorale individuato precedentemente con la PET. Il concetto è quello di “vedere ciò che tratteremo”: cosa, quante lesioni e dove, colpendo le cellule tumorali direttamente al cuore della massa neoplastica”.

Paone spiega che questo meccanismo differisce da quello applicato nella radioterapia, “nella quale non si può tracciare e seguire il percorso delle radiazioni”. Dunque: “La radioterapia in Medicina nucleare permette di agire dall’interno, somministrando i radiofarmaci che viaggiano nell’organismo e, grazie a meccanismi di trasporto cellulare nei siti della malattia metastatica, si distribuiscono emettendo radiazioni che vanno a uccidere le cellule tumorali senza intaccare il tessuto sano circostante”. Un concetto, questo, estremamente importante e più volte ribadito: “La radioterapia metabolica non irradia tutto l’organo (che non è il bersaglio), ma colpisce selettivamente solo il sito (tumore) che vogliamo distruggere. Ciò permette di utilizzare dosi più importanti, con un effetto terapeutico molto più efficace, proprio perché possiamo indirizzarle molto precisamente solo sul tessuto tumorale , senza irradiare il tessuto sano”.

I radiofarmaci usati nella terapia agisconosenza produrre effetti indesiderati

Vanno rassicurate le persone il cui timore ricorrente riguarda la radioattività del farmaco iniettato per la terapia, per la quale il professor Paone rafforza il concetto principale su cui poggia: “Ribadisco che il farmaco somministrato  agisce dall’interno e va ad accumularsi esclusivamente nelle cellule tumorali bersaglio, senza intaccare i tessuti sani. Il paziente viene ricoverato per 48 ore per una questione cautelativa di radioprotezione delle persone che gli sono vicine nella vita quotidiana (ndr: per la quale vigono leggi federali puntuali. Vedi UFSP a pagina 113): un ricovero che non ha a che fare con effetti collaterali del farmaco che agisce come “magicamente” ad opera d’arte senza significativi effetti indesiderati”. Dunque, conclude lo specialista: “La degenza è legata esclusivamente all’emissione di radiazioni da parte del paziente nelle prime 48 ore perché si vuole evitare la radio-esposizione ai famigliari e alle persone che normalmente vivono con lui”.