
Diritti e sanità
Il medico di famiglia, fra esperienza e buonsenso
A colloquio con Franco Denti, Medico di famiglia e Presidente dell’Ordine dei Medici Canton Ticino
Dottor Denti, la medicina nei paesi sviluppati si occupa sempre più dei sintomi e pare non avere interesse a diffondere uno stile di vita sano.
Quale dovrebbe essere l’obiettivo di un sistema sanitario?
Per prima cosa, il sistema sanitario dovrebbe riuscire a garantire adeguatamente la presa a carico di tutti i cittadini-pazienti, quindi, senza discriminazioni “di portafoglio”.
Poi, un altro intento è quello di sensibilizzare la popolazione iniziando già dai piccoli, con filosofie che permettano al cittadino di prendersi cura di se stesso in prima persona, attraverso piccoli gesti che dovranno diventare azioni correnti. Ad esempio, alle elementari si insegna ai bambini a lavarsi correttamente i denti, ma poi c’è “un buco” e fino all’età adulta non si parla praticamente più di qualità e stile di vita sano. Dunque, già a livello di formazione scolastica bisognerebbe introdurre sempre più criteri e informazioni che permettano alla persona di scegliere cosa le può fare bene. Penso all’educazione alimentare (mangiare in modo equilibrato senza rinunciare a nulla) e all’attività sportiva. In tal modo, si lavora concretamente sulla prevenzione delle malattie, soprattutto quelle croniche come diabete, ipertensione e altre patologie strettamente correlate allo stile di vita. Non avremmo comunque la certezza di vivere “sani e belli” per tutta la vita, ma sicuramente potremmo ridurre il più possibile il rischio di ammalarci cammin facendo.
Finora la medicina si è orientata soprattutto verso le cure e le terapie che, ovviamente, hanno creato un grande mercato. E ci siamo dimenticati una cosa fondamentale: molte malattie dipendono dai nostri stili di vita (ad esempio, il diabete porta a complicazioni che riguardano la vista, il cuore e i reni. Ma è evitabile). La prevenzione andrebbe anteposta alla cura e mantenere la popolazione sana significa riuscire ad attuarla.
Come? E qual è il ruolo del medico di famiglia in questa visione?
Come dicevamo: bisogna iniziare dall’istruzione scolastica.
E in futuro, sarà proprio il medico di famiglia ad avere il compito di impostare il suo operato proprio a favore della prevenzione, agendo dapprima sull’aspetto motivazionale, e in seguito sulla responsabilizzazione del paziente. Quindi, egli dovrà accompagnare il cittadino-paziente verso quegli obiettivi che si pone una medicina preventiva. Per esempio, non aumentare di peso corporeo, non caricare eccessivamente l’alimentazione di zuccheri e carboidrati, non fumare, non bere troppo alcol...
Oggi siamo in una fase di transizione in cui ci sono medici come il sottoscritto che, pur essendo medici di famiglia, sono stati formati per curare le malattie e hanno imparato da autodidatti sul terreno. Oggi ci viene chiesto di trasformarci in medici che sanno curare, ma che sanno anche informare e motivare il paziente; questo necessita di una formazione specifica che in Ticino cercheremo di porre in essere con il nuovo Istituto di medicina di famiglia dell’Università della Svizzera italiana (USI). Senza dimenticare che il medico dovrà sempre essere in grado di curare i propri pazienti “ad opera d’arte”.
La pressione sul mondo sanitario sta raggiungendo un limite non più sostenibile.
Qual è il ruolo chiave del medico di famiglia, considerando la carenza di questa figura professionale?
La figura del medico di famiglia e la carenza di personale medico si accompagnano malauguratamente con la carenza di personale infermieristico. Si sono fatte molte promesse, c’è stata una votazione federale, ma in concreto le cure non sono aumentate, né sono migliorate le condizioni di cura per tutti i curanti.
In particolare, oggigiorno la professione del medico di famiglia è molto usurante dal punto di vista psicofisico; i medici come me, che sono prossimi alla pensione, sono stati abituati a reggere questo tipo di carico. Ma probabilmente i giovani medici non sono così predisposti a questo tipo di resilienza, e bisogna quindi cercare di prepararli meglio a quello che li aspetta.
Anche perché ci sono giovani medici davvero interessati alla professione del medico di prossimità. A questo proposito, proprio qualche settimana fa alcuni colleghi specializzati, mi manifestavano questo loro desiderio, perché reputavano la professione del medico di famiglia “più arricchente sia dal punto di vista medico che da quello umano”. Dunque, la formazione va stimolata dai primi anni di medicina e durante quelli della formazione ospedaliera, senza dimenticare l’incentivo economico che, anch’esso, se adeguato giocherebbe un ruolo attrattivo importante.
Ci racconti come è nata la sua scelta di esercitare come medico di famiglia...
Inizialmente avrei voluto diventare urologo: quattro anni di chirurgia, poi altri tre di specializzazione in urologia. Arrivato al terzo anno di specializzazione ho capito che dove lavoravo non avrei avuto le garanzie di formazione che mi aspettavo. Inoltre, avrei voluto tornare in Ticino con un buon bagaglio di formazione. In quel contesto, il caso volle che un’infermiera mi disse che l’ospedale di Castelrotto cercava un medico internista. Allora mi sono detto: perché no? E sempre il caso ha voluto che abbandonassi la formazione in urologia, e, da Losanna sono rientrato in Ticino come medico assistente formato a tutto tondo. Oggi come oggi sono fiero e contento di aver saputo cogliere l’occasione, e da più di 20 anni sono felice del cammino percorso, che mi ha ripagato di soddisfazione sotto tutti i punti di vista.
Perché medico di famiglia? È una professione bellissima: un medico che cura anche sulla base dell’esperienza e del buonsenso!
Anche se, nel corso degli anni, si è un po’ perso il rapporto medico – paziente e oggi si tende a curare la malattia d’organo o la patologia di cui è affetto il paziente. Mentre il medico di famiglia ha come primo obiettivo quello di occuparsi della persona a trecentosessanta gradi tutto tondo. È questo l’insegnamento che va a tutti i medici di famiglia: non occupatevi solo della malattia, ma curate il cittadino-paziente!
Le condizioni di lavoro non più adeguate alle esigenze esistenziali degli operatori sanitari, la burocrazia debordante negli studi, negli ospedali e nelle cliniche, costringono medici e infermieri, fisioterapisti, aiuto domiciliari, assistenti di cura, eccetera, ad avere sempre meno tempo per adempiere la loro missione di aiutare i cittadini-pazienti.
La salute stessa dei curanti è messa a dura prova. Che fare?
In primis, se si hanno delle difficoltà bisogna saper chiedere aiuto. In Svizzera si può far capo alla Rete di sostegno per medici ReMed (in Ticino si può far capo pure all’Ordine dei Medici e succede più di quello che si pensi). I colleghi chiedono aiuto, si lamentano delle condizioni quadro e del carico psicologico con cui sono confrontati; gli ospedalieri esprimono delle frustrazioni (“Si studia per fare il medico e per un sacco di ore ci si trova a fare il segretario”); manifestano la volontà di essere più presenti al letto del malato. Il 34% dei nuovi laureati in Svizzera non eserciterà mai la professione di medico, e questo la dice lunga su come viene fatta la selezione per poter studiare medicina e sul numero chiuso alle facoltà di medicina.
Che fare? Innanzitutto rivedere gli attuali esami di ammissione alle facoltà di medicina e abolire il numero chiuso. Inoltre, ribadisco che il medico in difficoltà non deve esitare a chiedere aiuto, e poi lottare affinché le condizioni quadro cambino nell’organizzazione del lavoro di tutti gli operatori sanitari.
Inoltre, vi sono medici anziani che non sopportano più il carico di questa superflua burocrazia invadente e decidono di chiudere lo studio. Quelli giovani manifestano sempre più il timore di mettersi in proprio, e cercano rifugio presso Centri medici che possono assicurare loro una sorta di deresponsabilizzazione in una maggiore zona di confort.
Eppure, oggi più che mai è importante evitare l’abbandono della professione da parte di medici, infermieri e, ancor di più, di medici di famiglia, soprattutto nelle zone discoste del territorio.
Il Ticino è un Cantone caratterizzato da un territorio costituito da valli anche discoste. Questo fa sì che necessitiamo di una medicina del territorio molto forte e capillare, mentre l’odierna tendenza dell’impostazione sanitaria è di accentrare tutto negli ospedali/cliniche. Eppure, la pandemia stessa ha dimostrato che quando è arrivato un imprevisto del genere sul nostro territorio, gli ospedali erano tutti pieni e tutta l’attività ambulatoriale è stata sospesa con conseguenti meno controlli clinici, (screening tumorali sospesi con conseguente aumento di diagnosi di tumori negli anni successivi e via dicendo). La mia forte determinazione è difendere la medicina sul territorio, una medicina composta da medici di famiglia e da altre specialità distribuite in modo capillare sul territorio ticinese. Senza dimenticare l’aspetto economico, la medicina sul territorio: costa meno che andare in ospedale o nelle cliniche.
Il nostro sistema sanitario pare schiacciare alcuni pilastri importanti che sostengono la qualità delle cure e la libera scelta del medico.
Qual è la cura urgente che bisogna applicare per rimettere INsalute la nostra sanità?
Possiamo dare una prima risposta provocatoria e rivoluzionaria: proviamo a vedere la sanità non solo come un costo ma anche come indice di benessere; rappresenta infatti l’11% del Prodotto Interno Lordo (PIL). Dunque, dovremmo considerarla come una ricchezza del territorio (non dimentichiamo che nella sanità lavorano oltre 500mila persone, e che oltre un milione e mezzo di persone ruotano attorno alla sanità (circa 20% della popolazione).
Un secondo aspetto sta nel capire che oggi tutti gli operatori sanitari stanno lavorando sotto costo (di questi tempi le informazioni evidenziano le crisi finanziarie degli ospedali). Inoltre, l’unica risposta politica esistente in Svizzera è quella di ridurre il costo delle prestazioni a fronte di un aumento di volume delle stesse. L’aumento dei volumi di prestazioni mediche e sanitarie è dovuto allo sviluppo tecnologico, alla ricerca che avanza, a nuove diagnosi, nuove prestazioni e all’invecchiamento della popolazione, con conseguente aumento dell’aspettativa di vita. Medici e ospedali sono costretti a lavorare di più per guadagnare sempre meno. Tutto ciò deve finire perché sta mettendo davvero a rischio l’approvvigionamento sanitario di questo Paese. E non si devono confondere i costi della cura: i primi aumenteranno fisiologicamente del 2-4% all’anno come in tutti i sistemi sanitari del mondo, mentre i costi dei premi di cassa malati sono aumentati negli ultimi 10 anni del 130%. Questo ci fa capire che c’è qualcosa di incongruente dietro all’aumento del 2-4% dei costi della salute a fronte di quelli del 130% delle casse malati.
La ricetta al problema? Una cura immediata sarebbe dire alla Confederazione: “Con i nostri soldi hai salvato UBS prima e CS dopo; perché non intervieni anche a tutela dei cittadini svizzeri nel contenimento dei premi della cassa malati?”. Questa, che potrebbe apparire come una soluzione semplice, sarebbe una soluzione immediata e urgente in attesa che si proceda alle riforme della LAMal che sono ferme da anni a Berna, come ad esempio il nuovo tariffario medico Tardoc e l’EFAS (Finanziamento uniforme delle prestazioni anche nella medicina ambulatoriale sulla base di come avviene per lo stazionario).
La continua pressione sui costi della salute si ripercuote sulla categoria, così come i costi dei premi di Cassa malati aumentano sulle spalle dei cittadini.
Quali ricette possiamo proporre per avere più trasparenza nei costi delle Casse malati?
C’è un terzo punto saliente: gli assicuratori malattia che hanno il compito di gestire la LaMal dovrebbero occuparsi solo di quello, senza innescare la confusione con le assicurazioni complementari poiché la mia impressione è che tutti i passi della politica federale siano votati a svuotare la LaMal per renderla, meno onerosa, delegando prestazioni alle assicurazioni complementari con le quali gli assicuratori hanno sempre realizzato grossi utili.
Bisognerebbe separare, e non solo sulla carta, la gestione della LaMal (assicurazione obbligatoria di diritto pubblico) da quella delle assicurazioni complementari (di diritto privato) dove l’assicuratore ha il diritto di assicurare chi vuole.
E ce ne sarebbe ancora da dire...