Adolescenza e identità

Giovani ed era digitale: rischi e opportunità

di Antonio Mazzaglia

di Antonio Mazzaglia

Nel 1943 nascono la prima macchina da calcolo costruita dall’Università della Pennsylvania e la prima AI mediante la messa a punto del primo neurone artificiale. Nel 1971, sorge la prima rete di computer realizzata dal Dipartimento della Difesa degli USA, mentre Ray Tomlinson invia la prima e-mail della storia da un’università a un’altra. Nel 1991, al CERN Tim Berners-Lee crea il primo sito web, e nel 1997 fa la sua comparsa con ben 150 iscritti il primo social network per merito di SixDegrees. Nel 2007 Steve Jobs lancia sul mercato uno smartphone il cui successo commerciale avrebbe poi sconvolto le abitudini digitali in tutto il mondo.

Oggi, 5.16 miliardi di persone hanno accesso a Internet, ci sono più di 200.000 siti attivi, vengono inviate 2.7 milioni di mail al secondo, più del 60% della popolazione mondiale usa i social e 4.3 miliardi di persone hanno uno smartphone. Quasi tutte le attività transitano dal web, dalle pratiche commerciali e lavorative fino all’intrattenimento e allo svago. L’evoluzione di Internet ha portato a una rivoluzione nelle nostre abitudini, e c’è chi pensa sia un bene e chi no. A questo proposito, abbiamo raccolto alcune testimonianze da ragazzi tra i 20 e i 35 anni. Tra loro* c’è chi ricorda com’era la vita senza Internet e chi invece ci è nato dentro; c’è chi guarda con nostalgia alle VHS e chi è cresciuto avendo a disposizione milioni di contenuti “a portata di click”.

*NOTA: Alcuni intervistati hanno chiesto l’anonimato, ma sono persone note alla redazione.

Internet è indispensabile ma…

Ho incontrato Arianna (22 anni) nel bar dove lavora quando non studia. Inoltre, ha un forte legame con gli animali. Fin dai primi scambi di battute ho percepito la sua peculiare relazione con il mondo digitale. Mi comunica di non essere una frequentatrice assidua dei social e di utilizzare Internet solo se strettamente necessario. Per lei Internet è stato uno strumento importantissimo poiché le ha consentito di seguire corsi da remoto presso accademie in America e in Inghilterra. Tuttavia, è consapevole dei pericoli legati al suo abuso, riconoscendo il rischio di sviluppare dipendenze. Pertanto, preferisce mantenere un distacco dalla rete e privilegiare una vita offline, affermando che è meglio evitare un utilizzo massiccio del web “nei limiti del possibile”. I suoi profili sui social network, o il suo sito, sono principalmente orientati a uno scopo professionale o commerciale e raramente contengono contenuti personali. Inoltre, ha confessato di sentirsi intimidita dagli amici e dai coetanei molto attivi sui social. Ha raccontato di aver incontrato, durante i suoi viaggi in giro per il mondo, comunità di giovani desiderosi di un contatto autentico con la realtà, al di fuori delle dinamiche dei social media, degli smartphone e dei trend del momento. Curioso come, nonostante la sua giovane età e grazie ai fratelli e gli amici più grandi con cui è cresciuta, Arianna conserva una certa nostalgia per le tecnologie e le abitudini pre-digitali.

Social, dipendenze e disfunzioni comportamentali.

Ho avuto il piacere di conversare con Mariam (20 anni) durante un aperitivo. Riscontrato un certo interesse, le ho posto alcune domande riguardo all’uso che fa di Internet, le sue abitudini digitali, le sue opinioni e le sue eventuali preoccupazioni. Fin da subito, lei ha posto l’accento sui rischi associati a strumenti come i social network, le app di incontri e la pornografia online, evidenziando come tali piattaforme tendano spesso a superficializzare le relazioni umane e a distorcere la realtà (un problema serio che riguarda soprattutto i giovani e i più vulnerabili) creando false percezioni di ciò che è reale, e favorendo dipendenze e disfunzioni comportamentali. Mariam ha raccontato di esserne stata vittima in passato, quando si è resa conto di essere dipendente dai social network e passava ore ed ore a guardare contenuti su Instagram e TikTok, a “guardare” la vita degli altri sacrificando la propria. Ha avuto la forza e la saggezza di “disintossicarsi” cancellando tutti i suoi profili per un anno intero, un gesto drastico che le ha portato benefici anche se talvolta si sentiva “fuori dal mondo”. Infine, Mariam ha espresso una certa preoccupazione riguardo alla facilità con cui è possibile manipolare l’opinione pubblica tramite l’uso dei social, confidando i suoi timori riguardanti l’impatto sulla società delle intelligenze artificiali, presagendo un futuro segnato da pigrizia e analfabetismo funzionale.

Globalizzazione e pensiero unico: la dittatura dell’algoritmo.

Muriel (35 anni) lavora per una radio: la dirige e partecipa attivamente alla creazione dei contenuti. Per lei, Internet ha trasformato sia l’uomo che la società, globalizzando il mondo e promuovendo un pensiero unico che mina le singole culture. Tale “neo-cultura”, spesso negativa, si impone progressivamente. Sottolinea l’impatto dei populismi sulle società ed evidenzia la moltitudine di fake news e contenuti vuoti che li hanno rinfoltiti e che quotidianamente erodono il giornalismo e l’informazione in generale. La veridicità dei contenuti online è difficile da controllare, poiché tutto è rapido ed etereo. Quindi conviene parlare alla pancia delle persone piuttosto che pensare a contenuti impegnativi. Musica per le orecchie di chi, in malafede, fa propaganda. Un tempo usava Facebook per informarsi: “Quando si potevano fare ricerche! Oggi gli algoritmi ti impongono le cose e sono i contenuti che trovano te!”. Tuttavia, Muriel guarda ai social con curiosità: TikTok la affascina poiché i video brevi e umoristici le ricordano il cinema muto: “È un social che alleggerisce i toni”. Quando le si chiede di citare un “pro” inequivocabile di Internet, qualcosa per cui è stato un bene al di là di ogni ragionevole dubbio, fa riferimento al suo lavoro in radio e sottolinea come questo vecchio media sia sopravvissuto allo strapotere della TV e di come si stia rinvigorendo grazie a Internet e ai podcast, così da continuare a offrire contenuti di qualità.

Una vita da comunicatrice digitale: non è tutto oro quel che luccica!

Giulia (24 anni) è laureata in economia ma, pentita della sua scelta, si è specializzata in comunicazione e marketing digitale. Oggi è una social media manager e lavora per associazioni culturali e no-profit. Dedica molto tempo ai social, pur essendo consapevole dei rischi: sono progettati per trattenere gli utenti davanti allo schermo, creando una sorta di “comfort zone” fatta di contenuti su misura da cui è difficile prendere le distanze. A volte avverte una sensazione di nausea che la porta a spegnere i social e ad adottare un approccio più tradizionale alla vita. Ritiene necessarie le norme volte a garantire il libero accesso ai contenuti e a proteggere i consumatori dagli effetti della “polarizzazione” causata dagli algoritmi, ad assicurare in tal modo l’accesso a una varietà di contenuti che vada oltre gli interessi individuali. Secondo lei chi opera online ha una grande responsabilità: “Si influenza una persona nella scelta di questo o quel prodotto, questa o quell’idea. Si interagisce con la chimica del cervello: è un peso”. Internet è uno strumento che può renderci protagonisti o vittime; dipende da come lo utilizziamo e da come ci tuteliamo. È una giungla che sarebbe opportuno regolamentare, ma spesso la tecnologia è più rapida del legislatore e si attende sempre un precedente catastrofico prima di agire. Sarebbe meglio investire nell’educazione. Giulia propone una sorta di “patente digitale”: “Si frequentano corsi e si ottiene l’autorizzazione all’uso completo del web”.

Per un pugno di click: gioie e dolori dell’era digitale.

Sento Anna* (33 anni) al telefono. Per lei Internet offre enormi vantaggi, ma è necessaria una consapevolezza adeguata. Oggi è possibile “vivere interamente su internet”, e i più piccoli ne sono testimoni: crescono immersi nella tecnologia, nei social e nei videogiochi, spesso catapultati nel mondo digitale senza precauzioni. Anna prova a mettersi nei panni di un bambino alle prese con un’intelligenza artificiale: “Forse sono influenzata dai film di fantascienza, ma rabbrividisco al pensiero che un bambino possa interagire con un’entità artificiale, intelligente, che acquisisce sempre più consapevolezza”. Lei utilizza frequentemente i social, principalmente per intrattenersi durante il tempo libero e prima di dormire, oltre che per contattare gli amici e informarsi. Li considera ottimi, utili e gratuiti, ma anche invasivi, considerando “tutta la pubblicità che dobbiamo sorbirci”. Pur “consumando” molto, condivide poco e presta attenzione alla privacy e alla sicurezza. Ha raccontato di essere stata vittima di frodi più volte durante gli acquisti online, e di essersi vista sottrarre illegalmente i dati della sua carta di credito: “Sono stata fortunata, ho risolto con una denuncia alle autorità competenti, ma non sempre questi casi hanno un lieto fine”. Ad ogni modo, internet ci impigrisce. Diventa sempre più performante ed è difficile resistere alle comodità che offre. Oggi lo smartphone è diventato “una protesi” e separarsene risulta un’impresa.

*NOTA: Nome di fantasia, ma persona nota alla redazione.

Il lato oscuro di Internet: tête-à-tête con un “hacker”!

Paolo* (33 anni) è un geologo di formazione, ma lavora come sviluppatore informatico. Mi è giunta voce che sia un hacker, ma lui non conferma né smentisce. A suo avviso Internet è nato per garantire anonimato e libertà di espressione, ma oggi è una minaccia. I rischi che elenca sono: violazione della privacy, minacce alla sicurezza informatica, dipendenze, disinformazione, cyberbullismo, esposizione a contenuti inappropriati e furto di identità. Sul perché si compiono attacchi informatici lui distingue tra attacchi rivolti a istituzioni o grandi aziende (per rubare dati sensibili o ricattare) che a volte contemplano anche ragioni ideologiche, e attacchi minori ai danni di persone comuni (per spiare o rubare denaro). Di solito le contromisure adeguate non richiedono competenze informatiche, ma consistono nella correzione delle proprie abitudini, nel fare attenzione a cosa si condivide e nell’evitare di iscriversi a questo o quel servizio. In termini informatici, invece, sarebbe opportuno utilizzare sistemi di autenticazione complessi e conoscere concetti come phishing, defacing e Open Source Intelligence. Tuttavia, egli si rende conto che non è affatto semplice: “Molte volte è difficile rinunciare ai servizi digitali. Le grandi aziende e le istituzioni spingono per l’adozione di identità digitali senza promuovere educazione o sensibilizzazione anche se ciò comporta una centralizzazione dei dati personali che spesso non prevede un’adeguata valutazione del rischio informatico”. 

 *NOTA: Nome di fantasia, ma persona nota alla redazione.