Gravidanza e post-parto

Analgesia del parto

L’anestesia della nascita come valido supporto per partorire in modo naturale alleviando il dolore

di Maria Grazia Buletti

“Il mio parto è stato indotto, quindi il travaglio è stato lunghissimo e quando ho chiesto se mi sarebbe stato fatto il cesareo mi sono sentita “aggredita”: mi hanno fatta sentire sbagliata, dicendomi che con quella richiesta stavo mettendo inutilmente in pericolo me e il mio bimbo (...) Non ho mai avuto una voce in capitolo e mi sono sentita in balìa di scelte altrui che non potevo in alcun modo governare...”

(racconto di Anna e della nascita di suo figlio Gabriele)

“Arriviamo in camera, avevamo riservato la camera singola così che Marco, mio marito, potesse rimanere con noi. Entriamo, rapida visita e conosco la coppia di ostetriche che mi avrebbero seguito, almeno fino al cambio turno delle 7:00 del mattino. Sono sorridenti e disponibili, due volti che mi rasserenano. Ci spiegano che la dilatazione è iniziata, siamo a 2 cm, molto bene, se procede così probabile non ci sarà bisogno di indurre il parto. Mi spiegano che posso chiedere l’epidurale (che io avevo espressamente richiesto) in qualsiasi momento (...) Decido di aspettare e vedere come va. Le ostetriche arrivano costantemente in camera e sempre accompagnate da una calma luce soffusa, sono felici di annunciarci che siamo a 4 cm di dilatazione. È tempo di spostarci in sala parto. Nonostante gli strizzoni sempre più forti, sono ancora in grado di gestire il dolore e mi rincuora ritrovare i visi sorridenti delle ostetriche. (...) Tre spinte e Siena è tra le mie braccia. Marco, piangendo, urla che è fuori, è fatta, è nata, è lì con noi. Mollo tutto, faccio crollare finalmente le membra e sorrido. Ce l’abbiamo fatta. Sono le 6:03 di venerdì 17 febbraio (sì, il miglior venerdì 17 che si possa desiderare) e questo batuffolo di 2.680 grammi è aggrappato a me. È piena di capelli neri, si accovaccia in sé stessa impaurita, piange piano e profuma. Profuma incredibilmente. Mi sono sempre immaginata un gran puzzo misto all’odore del sangue. In fondo se l’è passata per diversi mesi lì dentro, in mezzo a tutto. E invece no, è viscida ma pulita. E profuma di buono, profuma di lei”.

(racconto di Elisabetta e della nascita di sua figlia Siena)

“Il parto è un evento molto intimo e soggettivo, e comporta emozioni che segnano profondamente”

Due donne, due nascite, due esperienze molto diverse l’una dall’altra, un comun denominatore dettato dal fatto che il parto è uno degli eventi più intimi e rilevanti nella vita di una donna (e della coppia), e può incidere sul rapporto tra madre e figlio proprio perché si tratta di un’esperienza molto intima e soggettiva, che sarà fissata per sempre in emozioni che segnano profondamente.

Ogni nascita merita quindi una comunicazione efficace con il personale sanitario e una consapevolezza della donna (e della coppia), nell’esperienza di un parto che per la madre dovrebbe essere privo del senso di inadeguatezza, di solitudine, del non sentirsi compresa fino in fondo in quel momento così pregno di emozioni contrastanti fra timori, aspettative, fatiche e desideri.

Non è sempre stato così e lo testimonia il racconto di Anna, uno dei tanti, a testimonianza di quanto, ad esempio, emerge da un sondaggio condotto dall’Università di Zurigo: “Oltre una donna su quattro, in Svizzera, lamenta di avere vissuto un’esperienza di coercizione durante il parto, di essere stata male informata o impaurita dai medici. Il 16% avrebbe subito pressioni per accettare un trattamento, il 10% un provvedimento malgrado un esplicito rifiuto”.

Qualcosa sta cambiando e a dare una forte spinta propulsiva all’umanizzazione della nascita che avviene in ospedale, nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pubblica le Raccomandazioni OMS per un’esperienza di parto positiva”, una sorta di linee guida che, nell’assistenza al parto, vogliono consolidare l’importanza di una visione focalizzata sulla donna.

“In pratica, con questo importante documento l’OMS promuove il diritto di ogni donnadi avere un parto in totale sicurezza e nel pieno rispetto dei propri bisogni emozionali e psicologici”. A parlare è la dottoressa Alessandra Lauretta, medico anestesista all’Ospedale Regionale Bellinzona e Valli che puntualizza: “Sono raccomandazioni che si propongono di limitare l’intervento medico nei parti fisiologici in ospedale, ma non si limitano solo a questo, perché l’intento è di assecondare pure i bisogni psicologici della partoriente e la soddisfazione materna considerata, a ragione, come un aspetto dell’efficacia clinica”.

Un modello dagli esiti psicologici importanti tanto quanto quelli biologici: “Non bisogna sottovalutare che la soddisfazione per l’assistenza ricevuta contribuisce a definire il livello di salute, esattamente come il benessere fisico”.

Le raccomandazioni OMS rivendicano per ogni donna il diritto di scegliere una persona di fiducia che le resti accanto durante il travaglio e il parto; il supporto emozionale; la possibilità di muoversi; la libera scelta delle posizioni da assumere; la possibilità di bere e assumere pasti leggeri durante il travaglio e, sottolinea la dottoressa Lauretta: “Per la prima volta, è esplicitamente citato il diritto alla parto-analgesia, e si raccomanda a tutti gli operatori sanitari di sostenere sempre la scelta delle donne su come affrontare il dolore del travaglio, al di là delle proprie convinzioni personali”.

La nostra interlocutrice sottolinea come una “comunicazione chiara, orizzontale, informativa e non manipolativa” rappresentino il “presupposto imprescindibile” di un’esperienza positiva che assecondi i bisogni anche emozionali. Le decisioni mediche devono perciò essere accompagnate da una comunicazioneempatica, da informazioni chiare ed esaustivee tenere conto della cultura, delle preferenze e delle aspettative: “Solo con questa premessa la donna può compiere scelte consapevoli, assumere un ruolo attivo nel processo assistenziale e avere gratificazione per l’assistenza ricevuta”.

“La donna è padrona delle proprie decisioni su parto e parto-analgesia perché precedentemente e adeguatamente orientata”

In quest’ottica, anche nel campo del parto l’anestesia è diventata a tutti gli effetti una specialità medica non più rigidamente confinata alla sala operatoria.

Tutto origina dal concetto stesso, spiega il primario di anestesiologia ORBV Andrea Saporito: “Oggi l’anestesista si occupa del paziente anche nel periodo precedente e seguente l’intervento chirurgico e questa è la ragione per cui, ad esempio, la Società Svizzera di Anestesia qualche anno fa ha cambiato il proprio nome in SSAMP: Società Svizzera di Anestesia e Medicina Perioperatoria. Ciò vale anche per l’ambito dell’anestesia ostetrica che oramai volge “a tutto tondo” la sua attenzione alle varie fasi della maternità: a partire dalla gravidanza, per poi proseguire con il parto, e in seguito anche con il puerperio e l’allattamento”. Egli rafforza così i concetti esposti dalla collega: “Al giorno d’oggi, anche nella sfera della maternità e del parto l’anestesiologia garantisce sicurezza, analgesia e anestesia in corso di interventi o procedure invasive. Ma non si occupa solamente delle necessità prettamente fisiche della partoriente e volge lo sguardo anche a quei bisogni emozionali e psicologici di questa fase della vita così delicata e importante per ogni donna, momento attorno al quale aleggiano ancora falsi miti che bisogna sfatare”.

“Prima, l’anestesista ostetrico interveniva esclusivamente nelle situazioni patologiche, quando veniva meno la fisiologia di un evento di per sé naturale come il parto; ad esempio, era chiamato per poter procedere a un taglio cesareo o quando si verificavano complicazioni. Oggi egli si stacca sempre più dalla figura associata a una forte medicalizzazione del parto e non è più culturalmente associato a una funzione in antitesi rispetto a quella della levatrice che, invece, richiama mentalmente un parto naturale e fisiologico, che si svolge senza intoppi, quasi come se queste due figure professionali fossero in antitesi tra loro”. Questo spiega Lauretta che non nasconde come capiti ancora oggi che le ostetriche più anziane, quando vedono un anestesista, gli rivolgono espressioni del tipo: “Va tutto bene, non abbiamo bisogno di lei”.

Eppure, l’intervento degli anestesisti nel contesto del parto nei Paesi ad alto reddito è oramai un dato di fatto: “La loro presenza arriva al 50 – 60% delle nascite in ospedale e, ricordiamolo, ciò ha contribuito ad abbattere le complicanze e la mortalità materna e perinatale”. Bisogna peraltro sottolineare l’evoluzione di questa specialità medica: “Fortunatamente, l’anestesia ostetrica non è più focalizzata esclusivamente sugli esiti fisici delle pazienti, ma anche sull’importanza dell’umanizzazione dell’evento nascita, pure quando questo avviene in ospedale”.

Il concetto ruota attorno al fatto che il parto debba restare il più possibile un evento del tutto naturale quale è, senza mancare di tutta l’assistenza medica adeguata qualora fosse necessario, compresa la parto-analgesia qualora la donna volesse consapevolmente richiederla: “L’ideale sarebbe offrire alle famiglie la sicurezza di un parto in ospedale, con il confort, il rispetto dell’intimità e l’ambiente accogliente di una casa”. La nostra interlocutrice sottolinea che, pur essendo ancora lontanidall’averrealizzatoconcretamente tutto questo: “Anche nell’ambito anestesiologico si sta facendo molto per promuovere un’assistenza di questo tipo: è oramai consolidata la nuova attenzione all’esito sul neonato delle manovre anestesiologiche attuate sulla madre e, quindi, sarebbe corretto parlare non più di “anestesia ostetrica”, bensì di “anestesia della nascita” che pone attenzione a tutti questi aspetti di cui si è parlato fino ad ora”.

Questo cambiamento di paradigma vede la partoriente orientata, qualche settimana prima del parto, in un incontro ambulatoriale con il medico anestesista che le spiegherà ogni possibilità e ogni relativo aspetto della parto-analgesia a cui potrà consapevolmente fare capo (vedi Box Pagina -Percorso visite per la parto-analgesia attivo all’Ospedale Regionale Bellinzona e Valli, EOC, pagina 16): “Solo un colloquio e un consenso informato permetteranno alla donna di avere padronanza delle proprie decisioni sul suo parto e sulle analgesie possibili, perché sarà precedentemente e adeguatamente orientata in merito”.

Un altro esempio interessante dell’evoluzione della parto-analgesia a favore di un parto consapevole come esperienza più naturale possibile riguarda la gestione del dolore post-operatorio dopo un taglio cesareo: “Culturalmente, e in assoluta buona fede, ancora oggi molti sono convinti che il dolore dopo un cesareo sia inevitabile e vada sopportato per evitare che, attraverso il latte materno, il bambino riceva farmaci analgesici potenzialmente dannosi”. Una credenza che la dottoressa confuta con l’aiuto di evidenze scientifiche: “Ci insegnano come una gestione non ottimale del dolore dopo cesareo sia associata a molti problemi come ritardato recupero funzionale, maggior consumo di farmaci analgesici oppioidi, degenza di maggiore durata, sviluppo di dolore cronico, ridotto bonding materno-neonatale, difficoltà all’avvio dell’allattamento e rischio superiore di depressione post-partum. In realtà, oggi si dispone di farmaci e tecniche di anestesia (e per la gestione del dolore) perfettamente compatibili con l’allattamento materno. Eppure, a molte donne che allattano, e che devono sottoporsi a interventi chirurgici in anestesia, ancora oggi viene detto molto spesso che è necessario sospendere l’allattamento per almeno 24 ore, tirando ed eliminando il latte sostituito poi da un’alimentazione in formula al bambino”.

Secondo l’anestesista, nel pieno di questa rivoluzione culturale c’è ancora da fare parecchio lavoro sul particolare aspetto dell’informazione e della comunicazione: “Soprattutto per arrivare a un cambiamento di mentalità di tutte le figure professionali coinvolte nel processo così poliedrico della nascita che, per sua natura, merita una presa a carico multidisciplinare”.

“La partoriente ben informata potrà scegliere liberamente se, quando e quale forma di parto-analgesia richiedere”

Uno sviluppo per realizzare il quale è necessario dedicare alla donna, con congruo anticipo rispetto alla data del parto, tutto il tempo necessario perché possa acquisire informazioni esaustive (scientificamente valide e aggiornate) sulle differenti tecniche di parto-analgesia: “Bisogna spiegare i vantaggi, gli svantaggi, i possibili effetti collaterali e le complicanze di ogni tecnica a disposizione”. Secondo il dipartimento di anestesiologia ORBV EOC, video e pubblicazioni informative sulla parto-analgesia, se non supportati da un colloquio tra partoriente (famiglia) e medico anestesista, anche se utili non sono sufficienti: “È lapalissiano che questi mezzi non riescano a rispondere alle domande, né spiegare ciò che non è chiaro, mentre solo una visita anestesiologica potrà evidenziare eventuali controindicazioni o difficoltà tecniche per l’esecuzione di una determinata forma di parto-analgesia”. Una personalizzazione dell’accoglienza della partoriente e del suo partner sono dunque la via migliore perché il parto sia consapevole in un’esperienza che si riveli migliore possibile.

“Questa è la ragione per cui nel nostro ospedale è possibile offrire alle partorienti molteplici strategie, farmacologiche e no, per il controllo del dolore”. Una via “estremamente positiva”, secondo Lauretta che non si esime dal ricordarne l’aspetto saliente: “Se le donne arrivano al travaglio ben informate, in quel momento possono scegliere liberamente (e in modo realmente consapevole) se, quando e quale forma di parto-analgesia richiedere in base a ciò che dà loro maggiore serenità nel contesto che stanno vivendo”.

Per incrementare questo percorso, è importante incentivare l’interdisciplinarietà fra ginecologo e anestesista: “Sebbene auspicato dalle raccomandazioni OMS, fino a qualche mese fa noi anestesisti incontravamo circa la metà delle donne che partoriscono nel nostro ospedale, perché spesso la visita anestesiologica era considerata un’inutile medicalizzazione di un evento fisiologico”. Un peccato riprende la dottoressa: “Questo significava che ancora troppe donne arrivavano al parto senza piena conoscenza di alcuni aspetti relativi alla parto-analgesia, come ad esempio che la peridurale si può chiedere in qualsiasi momento del travaglio, quando se ne avverte il bisogno, senza dover necessariamente attendere una determinata dilatazione cervicale. Oppure alcune donne erano ancora terrorizzate da complicanze teoricamente possibili, ma praticamente rarissime, e invece non avevano idea di complicanze molto più frequenti come la cefalea da puntura della dura madre che in ambito ostetrico ha un’incidenza dell1%, e che può essere anche molto severa, rendendo problematica la cura del lattante”. Ora qualcosa è però cambiato: “Adesso, finalmente, anche con i ginecologi e il Servizio di qualità si è concordato il percorso organizzativo della parto-analgesia che prevede la visita anestesiologica per tutte le donne di cui il nostro nosocomio riceve l’annuncio di parto”. Un’evoluzione “lunga e complessa”, chiosa l’anestesista, “proprio perché, come dicevamo, la visita anestesiologica è spesso considerata un’inutile medicalizzazione”.

In conclusione, Lauretta invita a una semplice riflessione che dovrebbe portare la coppia a prepararsi al meglio, anche con una visita anestesiologica qualche settimana prima della nascita di un figlio: “Non c’è alcuna possibilità di spiegare con calma tutto questo se l’anestesista non ha mai incontrato una signora, e viene chiamato solo in corso di travaglio, quando la donna è estremamente sofferente e desidera solo che le venga alleviato il dolore prima possibile”.