Un misto di rabbia, aggressività e rancore

di Antonio Malgaroli

La rabbia è un’emozione umana fondamentale, forse la più dirompente. È la risposta a una minaccia concreta, che deflagra quando l’altro diventa un “nemico”, quando percepiamo un’ingiustizia, quando ci ritroviamo dentro a una situazione conflittuale, soverchiati dagli eventi.

C’è chi si abbatte, chi fugge e c’è chi si arrabbia: la sua modalità di espressione è inconfondibile. Se siamo arrabbiati gli altri lo capiscono immediatamente, è palese, e non puoi certo confondere la rabbia con un’altra reazione emotiva. Deve quindi avere una funzione comunicativa, e questo vale sia verso l’esterno che al nostro interno.

Quando ci arrabbiamo siamo in subbuglio, ci surriscaldiamo, il cuore ci batte all’impazzata, viviamo delle sensazioni molto specifiche; anche se siamo distratti capiamo che sta accadendo qualcosa di spiacevole a cui dobbiamo prestare la massima attenzione. L’arrabbiarsi ha quasi sempre una connotazione negativa, ma in realtà fa parte di quel corredo emotivo che si accende sotto stress. Eppure, la rabbia moderata, sotto controllo può essere accettabile e utile. Anche Aristotele lo affermava nell”Etica Nicomachea”: ovviamente quando ci si arrabbia con la persona che è la causa del problema, in modo contenuto e con in mente uno scopo ben preciso. 

È un’emozione, e tutti noi pensiamo di sapere molto bene cosa sono le emozioni. Come non potremmo? Le sperimentiamo quotidianamente, le ricerchiamo e le verbalizziamo nei nostri discorsi. Purtroppo, cosa siano veramente le nostre emozioni, da dove provengano, cosa le accenda e come si possano controllare è tutto un altro discorso. Il motivo? Sono fenomeni comportamentali veramente molto complessi, difficili da circoscrivere ed etichettare, che coinvolgono tantissimi aspetti del nostro essere, alcuni più istintivi e inconsapevoli, altri evidentemente più razionali. 

Per poter comprendere i meccanismi che controllano lo scatenarsi della rabbia, bisogna risalire indietro nel tempo, fino alle origini della nostra specie.

Scopriamo allora che le emozioni sono comparse nel corso della nostra evoluzione per permetterci di affrontare le sfide di un mondo selvaggio e pericoloso, con l’obiettivo iniziale di aumentare la nostra probabilità di sopravvivere. Ricordiamo che “Emozione” deriva dal verbo latino “Emovere”, ovvero muoversi, mettersi in movimento.

“Per comprendere lo scatenarsi della rabbia bisogna risalire alle origini della nostra specie”

Non deve quindi sorprendere che la rabbia possa sfociare in “movimento”, in comportamenti aggressivi e in violenza fisica e verbale. Se la rabbia è moderata essa rappresenta solo uno sfogo, una liberazione emotiva. Quando invece ci si arrabbia tanto, l’impulso diventa irrefrenabile; perdiamo il controllo e passiamo all’azione, come se dovessimo sconfiggere un “nemico”, un assalitore, un invasore.

Ecco il problema: questo furore aggressivo (Rage come lo definiscono gli anglosassoni, dove invece Anger viene utilizzato per indicare l’emozione rabbia) che si attiva per infliggere danni fisici e/o emotivi agli altri, spesso senza un motivo apparente, può diventare l’anomalia. Nel mondo di oggi, ovviamente, il pericolo di vita è stato sostituito da tante preoccupazioni anche banali con cui ci confrontiamo quotidiamente. Questi trigger della rabbia, includono una miriade di preoccupazioni sociali, politiche, affettive e personali, troppe e tutte diverse a seconda del soggetto.

Visto che il legame tra rabbia e aggressività fisica e/o verbale è rimasto immutato, allora il furore aggressivo viene fuori per cose banali, come se dovessimo mobilizzare il nostro corpo per la lotta e/o la fuga per sopravvivere, ad esempio, perché alla guida della nostra auto non ci viene data la precedenza!

La rabbia e la violenza nascondono una profonda sofferenza interiore e producono ansia, stress e depressione, in chi li subisce ma anche in chi li esprime, con conseguenti peggioramenti dello stato di salute dell’individuo. Se troppo frequenti, i comportamenti aggressivi ci portano a deviare dagli standard normativi della nostra società e quindi vengono etichettati come patologici. Per questo motivo, nel comportamento antisociale si può arrivare a conseguenze personali e sociali disastrose.

Lungi dall’essere un costrutto comportamentale unitario, le neuroscienze hanno comunque iniziato a fornire importanti informazioni sulle aree cerebrali coinvolte e sui meccanismi. Oggi, per esempio, sappiamo che l’amigdala (una regione profonda del cervello a forma di mandorla) e l’ipotalamo svolgono un ruolo cruciale nell’elaborazione istintiva degli stimoli emotivi, inclusi quelli che inducono la paura e la rabbia. Alcune aree corticali partecipano a questo processo. In particolare, una parte della corteccia anteriore o prefrontale (la corteccia prefrontale ventromediale) è coinvolta nella regolazione e nell’inibizione delle risposte emotive. Quest’area agisce come una sorta di “freno” e il suo malfunzionamento è stato associato a importanti difficoltà nel controllo della rabbia e dell’impulsività. Il funzionamento corretto di questi circuiti cerebrali dipende molto dalle nostre esperienze, specie quelle traumatiche, dall’abbandono, dalla solitudine, e via dicendo.

Nonostante la preponderanza dei fattori ambientali, esistono anche delle componenti genetiche che hanno un ruolo importante nella modulazione del comportamento aggressivo. Nel 1993, Brunner identificò in una famiglia olandese una mutazione del gene MAO-A, che correlava con manifestazioni comportamentali anomale. Queste si caratterizzavano per la presenza di comportamenti aggressivi e violenti, basso QI e sbalzi d’umore (Sindrome di Brunner). Questa importante scoperta è stata successivamente validata da una lunga serie di studi sperimentali sui roditori, dove le mutazioni nel gene MAO-A innescano comportamenti simili a quelli evidenziati nell’uomo.

“LA RABBIA E VIOLENZA NASCONDONO UNA PROFONDA SOFFERENZA INTERIORE”

Ma a cosa serve il gene MAO-A? Il gene codifica per una proteina (la monoamino-ossidasi) un enzima che degrada alcuni neurotrasmettitori molto importanti, tra i quali la serotonina e la dopamina. Quando il gene MAO-A è mutato cambiano i livelli di questi neurotrasmettitori. L’effetto è una maggiore impulsività e un discontrollo della rabbia. Per questo motivo, il gene MAO-A viene spesso etichettato come il “Gene Guerriero”.

Questi risultati suggeriscono che i fattori genetici giocano un ruolo importante nell’influenzare la rabbia e l’aggressività; tuttavia, è verosimile che contribuiscano pure molti altri geni, anche se di questo sappiamo ancora troppo poco.

Pensando al futuro, se il nostro obiettivo è quello di sviluppare delle terapie per il controllo della rabbia e della violenza, allora è essenziale riconoscere la complessità di questi comportamenti. Tutte le loro sfaccettature nascono ovviamente dal fatto che questi aspetti comportamentali sono essenzialmente plasmati da una combinazione di esperienze di vita, fattori sociali, ambientali e psicologici, ma anche da importanti predisposizioni ereditarie.