
Fà che il cibo sia la tua medicina
di Maria Grazia Buletti
Da sempre in medicina la dieta è un elemento di cura, così come la consapevolezza della salubrità di certi cibi, piante ed erbe ci viene tramandata da saperi orali millenari ben prima che l’essere umano imparasse ad estrarne i principi attivi della moderna farmacologia.
L’educazione alimentare come elemento di benessere affonda radici profonde, riportandoci in Grecia tra il V e il IV secolo a. C., e all’affermazione di Ippocrate, padre della medicina e più importante medico dell’Antichità:
“Fa’ che il Cibo sia la tua Medicina e che la Medicina sia il tuo Cibo”
Una frase che potrebbe risultare sconveniente, perché ora più che mai mette in discussione le nostre consuetudini e stravolge le nostre abitudini alimentari.
Oggi parliamo spesso di “dieta” senza sapere che questa parola deriva dal latino diaeta, che significa “modo di vivere”, con particolare riferimento all’assunzione di cibo.
Ciò dovrebbe farci riflettere sul fatto che ciascuno di noi deve essere responsabile della propria salute e della sua cura che passa anche da ciò che scegliamo di mangiare.
“Siamo quello che mangiamo”, esordisce così il professor Stefano Erzegovesi, psichiatra e nutrizionista, che abbiamo incontrato a Locarno, in occasione della conferenza pubblica che a settembre dello scorso anno lo ha visto relatore, insieme al cuoco stellato Pietro Leemann, sul tema della sana alimentazione e sugli spunti di riflessione pratici mirati alla prevenzione delle malattie croniche.
Chiari i presupposti: “Il cibo sano è in grado di preservare la nostra salute dalla maggioranza delle nuove malattie di questo secolo. Perché non riprenderci la nostra vita ripartendo da un’abitudine alimentare sana e quotidiana? In fondo, ciascuno di noi deve essere responsabile della propria salute e prendersene cura”. È quindi fondamentale essere informati e consapevoli: “È un lavoro di ricerca, crescita e responsabilità”. Una responsabilità con la quale dovremmo andare d’accordo perché fa rima con “vita”, qualità di vita, vita in salute.
“Ciascuno di noi deve essere responsabile della propria salute e prendersene cura”
Un’equazione apparentemente banale; tuttavia, attraverso le epoche storiche il rapporto tra alimentazione e salute non è sempre stato equilibrato e armonioso, né si può affermare che lo sia oggi.
“Il ‘900 segna l’epoca in cui sono cambiati i mestieri, le città si sono ingrandite e da allora nei paesi sviluppati si è avuta un’abbondanza di cibo mai conosciuta prima nella storia dell’umanità. La sua produzione industriale ha portato ad avere alimenti sicuri, igienicamente migliori, facili da conservare e da mangiare perché il cibo preconfezionato non richiede tempo per la sua preparazione. Questa situazione ha portato a nostro beneficio un grande incremento demografico, l’evoluzione della medicina e la sconfitta di tante malattie. Ma ciò ha pure comportato uno stile di vita che, paradossalmente e alla lunga, ha condotto a disagi e patologie legate indissolubilmente con le abitudini alimentari, cosa oramai scientificamente assodata”, afferma il professor Erzegovesi, sottolineando come al cibo oggi troppo raffinato sia imputabile la responsabilità di disturbi e malattie croniche e infiammatorie con le quali dobbiamo fare sempre più i conti.
“L’euforia del ‘900 che tutte le malattie potessero guarire con farmaci e interventi chirurgici è soppiantata dal fatto che si sia persa l’idea dello stile di vita come essenziale parte integrante della salute”
Le neuroscienze hanno oramai dimostrato ampiamente l’impatto dell’alimentazione su salute mentale e malesseri come ansia e depressione, ma non solo: il medico psichiatra e nutrizionista evidenzia come il cibo sia in grado di combattere i disturbi della psiche e prevenire le malattie croniche: “Mangiando semplicemente alimenti giusti, nelle giuste porzioni, migliorando la salute del microbiota e contribuendo attivamente al proprio benessere psicofisico”.
D’altra parte, Erzegovesi sottolinea come: “Oggi le malattie cosiddette croniche non trasmissibili sono letteralmente esplose: ipertensione, malattie cardiovascolari, infarto, ictus, problemi tiroidei, obesità, diabete, malattie neurodegenerative condividono meccanismi infiammatori; mentre evidenze scientifiche indicano la connessione tra infiammazione cronica e salute mentale. Inoltre, è pure scientificamente provato che il 50 % delle malattie tumorali sia fortemente correlato all’alimentazione”.
La soluzione non è ancora sempre facile da individuare, anche se è davvero a portata di mano perché qualcosa sta cambiando: “Ad esempio, l’idea che l’alimentazione anti-infiammatoria possa migliorare i disturbi d’ansia, depressione e stress è oggi suffragata da dati scientifici, e questo fino a dieci anni fa pareva essere un concetto folle”.
Prendersi cura della propria salute ancor prima di dover affrontare una malattia si declina con un’unica parola: prevenzione. E sono molte le malattie sulle quali una buona alimentazione svolge un’azione preventiva e di sostegno determinante alla guarigione o perlomeno alla loro gestione corretta.
Anche se, afferma lo specialista: “Purtroppo oggi si ricorre ancora molto alla farmacologia invece di prendere in mano la propria vita, responsabilizzandosi e agendo sull’alimentazione quale efficace prevenzione dalle malattie”. Egli vede però uno spiraglio:
“Dagli Stati Uniti arrivano avvisaglie che indicano un preoccupante aumento delle malattie croniche le cui cure presto non saranno più economicamente sostenibili. Bisogna cambiare paradigma”. Entrando nella dinamica della spesa sanitaria, tema che attanaglia anche le nostre latitudini, egli riflette: “È paradossale che ci avviciniamo alla prevenzione, e ci prendiamo cura della nostra alimentazione, mossi più da motivi meramente economici che non dalla spinta umana; ma ben venga questo impulso se può fungere da stimolo per cambiare qualcosa in meglio”.
“Dobbiamo cambiare il modo di disegnare le nostre abitudini”
“È ora di cambiare il modo di disegnare le nostre abitudini alimentari”, questa l’esortazione dello specialista che reputa le linee guida per una sana alimentazione un primo passo verso la consapevolezza e la responsabilizzazione che ciascuno di noi deve alla propria vita. Non bastano gli allarmi che si rincorrono, siano essi delle autorità o degli organismi del settore sanitario, contro le diete povere di frutta e verdure, e contro gli eccessi alimentari. Non basta neppure l’avvertimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) contro il consumo esagerato di carni rosse, soprattutto quelle lavorate come gli insaccati.
Ma seguire le indicazioni delle linee guida per cominciare a capire cosa mettere nel piatto e con che frequenza è già un primo passo: “Cominciamo a cambiare il paradigma del poco tempo a disposizione: la cucina sana esige poco più di mezz’ora a pasto per portare nel piatto verdure o legumi gustosi.
“Il problema delle linee guida, base fondamentale, è legato al fatto che le leggiamo e non le mettiamo in pratica. Non è un fatto di svogliatezza e non è scarso impegno: si è semplicemente poco connessi con quel tipo di esperienza e non ci viene spontaneo immaginare come prepararci il cibo, magari insieme e in compagnia, possa essere un momento di grande valore, preludio di un pasto da masticare con lentezza e gustare sentendo il senso di sazietà, tutto a favore della nostra salute e della nostra felicità”.
Allora, egli esorta: “Cominciamo a dire addio, per fare solo un esempio, a quel formaggino preconfezionato che era visto come un segno del progresso, pronto, comodo, dal sapore morbido e accattivante che non richiedeva di essere masticato. E che invece può essere tutto tranne che un veicolo di salute”. In tal modo, Erzegovesi invita a lasciarsi alle spalle il pregiudizio che vede il cibo sano come “poco pratico, anacronistico e legato a cose vecchie, ancora molto presente nell’immaginario collettivo”.
Al mondo ci sono cinque zone cosiddette “blu”: sono luoghi caratterizzati da una grandissima densità di centenari in salute e che sono state studiate da alcuni ricercatori. L’aspetto interessante delle Zone Blu, che si trovano in Italia, Grecia, Giappone, Stati Uniti e Costa Rica, è che possono essere “esportate” in altri luoghi: “La città di Albert Lea (nel Minnesota, negli USA) è esemplare, perché i suoi abitanti hanno cambiato completamente stile di vita, modo di alimentarsi (legumi, verdure, cereali integrali e frutta), comunicazione intergenerazionale (gli anziani escono di casa e accompagnano i piccoli a scuola, il che significa sano movimento), più disponibilità di verdure, frutta e legumi nei supermercati e via dicendo.
La distribuzione degli alimenti e le proposte dei ristoranti sono diventati sani e sostenibili. Ad esempio, al ristorante non si porta il cestino del pane a tavola, ma acqua e insalata.
E drasticamente è crollata la spesa sanitaria per la cura delle malattie croniche”.
Un esempio virtuoso che dovremmo cominciare a seguire tutti quanti: “Il paradigma va cambiato e si può iniziare nel proprio piccolo, in famiglia, nelle comunità. Le intere città seguiranno perché esiste una sorta di “contagio positivo” che può fare la differenza, come è successo ad Albert Lea nel Minnesota”.
“La scelta di un regime alimentare deve armonizzarsi con uno stile di vita conseguente”
Poche ma essenziali e percorribili le esortazioni del professor Stefano Erzegovesi: “Sfruttiamo davvero il potere dei vegetali, conosciamone le diversità, i fitochimici specifici, i dosaggi e le cotture. Entriamo nei segreti del meraviglioso ecosistema costituito da corpo, mente e microbiota intestinale: questa strada di conoscenza e alimentazione ci condurrà verso un miglioramento dell’umore e della vita emotiva, e ci manterrà in salute”.
Il nostro interlocutore è persuaso della convivialità e della sacralità del momento di preparazione del pasto: “Sono convinto che se prepariamo insieme una crema di broccoli, l’effetto sarà più duraturo e profondo rispetto ad una semplice prescrizione dietetica al paziente: se condividiamo l’esperienza, poi questa prenderà piede e metterà radici”. E il suo sogno di una cucina dedicata sta avverandosi: “Pensare di avere uno spazio attrezzato in cui far cucinare le persone è oggi poco sostenibile economicamente, ma bisogna sognare di andare in questa direzione, cominciando a pensare a questa attività come un mezzo di miglioramento della salute fisica e mentale, che avrebbe sicuro successo in svariati luoghi, ad esempio nelle scuole, nelle associazioni di volontariato, negli ospedali e nelle università. A proposito di università che, a tutt’oggi, offrono pochissime ore di insegnamento sulla nutrizione nei corsi di medicina: i medici vanno istruiti in maniera specifica sul potere preventivo e curativo del cibo che mettiamo a tavola ogni giorno”.
Queste considerazioni contengono una specie di assicurazione sulla vita, perché se impariamo a cucinare in modo sano, a seguire semplici indicazioni di nutrizione, ad avere cura della preparazione del nostro cibo: “Allora entriamo in uno stile di vita che permette di curare eventuali patologie, ma soprattutto aiuta a prevenirne altre croniche, avvicinandoci alla prospettiva di restare sani e lucidi anche in vecchiaia”.


