L’irresistibile fascino del cervello

La mente umana si pone grandi domande, e le neuroscienze trovano risposte

di Maria Grazia Buletti

È un organo stupefacente che pesa circa un chilo e mezzo; è situato dentro la nostra testa ed è formato da miliardi di piccole cellule. È il nostro cervello i cui strumenti sono cento miliardi di neuroni e un numero incalcolabile di connessioni. Il suo “linguaggio” si esprime attraverso minime correnti elettriche e circa 50 sostanze chimiche. In questo modo, esso sovrintende il lavoro del nostro corpo, elabora i segnali che arrivano dall’esterno consentendoci di percepire il mondo attorno a noi, immagazzina informazioni sotto forma di ricordi, e soprattutto ci permette di ragionare.

Il cervello è l’organo più complesso del nostro corpo e perciò sul suo funzionamento restano ancora molte domande aperte”

Plasmato da milioni di anni di evoluzione, il nostro cervello ha raggiunto una complessità senza pari. Basti pensare che le sue straordinarie capacità sono frutto di un’attività incessante (che prosegue pure durante il sonno) alla quale destiniamo il 20% dell’energia che introduciamo con gli alimenti.

Da sempre subiamo il suo “irresistibile fascino”, per citare il titolo del libro di Enrica Battifoglia dedicato a Rita Levi Montalcini (L’irresistibile fascino del cervello, Ed . Microscopi Hoepli). E sul suo funzionamentorestano aperte ancora molte domande alle quali, peraltro, le neuroscienze stanno cercando di dare risposte sempre più efficaci ed esaustive.

“Del cervello possiamo dire di conoscere molto e poco, in realtà. Sono passati 150 anni da quando il neurologo francese Jean Martin Charcot studiava il cervello in sede medico-legale per capire l’origine delle malattie neurodegenerative. Negli ultimi cinquant’anni le neuroscienze stanno facendo passi da gigante nello studio in vivo del nostro cervello, e i progressi ci permettono di capire un po’ meglio il piano dell’architetto che ha studiato questo meraviglioso organo”. Sono le parole del professor Alain Kaelin, direttore medico e scientifico del Neurocentro della Svizzera Italiana, che abbiamo coinvolto in questo viaggio alla scoperta del fascino del nostro cervello, insieme alla professoressa Rosalba Morese, collaboratrice scientifica della Facoltà di scienze biomediche dell’USI. 

“Le facoltà della mente che più affascinano sono quelle che ci rendono coscienti”

Una delle prime domande a cui desideriamo dare risposta riguarda quale rappresentazione ci facciamo del mondo. Come lo interpretiamo? Cosa comprendiamo dell’ambiente che viviamo e che ci circonda? Psicologia e neuroscienze hanno dato un grande contributo su questo argomento che Rosalba Morese declina in questo modo:“Oggi sappiamo che il processo decisionale è un processo dinamico e di “problem solving” che coinvolge diverse strutture cognitive e che comporta la valutazione e l'interpretazione degli eventi”. La neuroscienziata sottolinea come esso sia finalizzato alla scelta di una soluzione tra quelle possibili: “Le prime ricerche risalgono al 1950 con l'obiettivo di riuscire a comprendere e descrivere il modo in cui le persone prendono decisioni razionali. Questo approccio basato sulla nozione di razionalità strumentale consiste nel definire un obiettivo da raggiungere attraverso l’ottimizzazione delle risorse disponibili, identificando quello che rappresenta la concezione razionale di homo oeconomicus”.

A suffragio di quanto espresso dalla specialista, le teorie economiche classiche secondo le quali: “Le persone prendono le proprie decisioni seguendo processi razionali; per l’appunto, secondo scelte razionali con cui le persone, in quanto esseri razionali, scelgono solo le azioni che producono risultati per loro più convenienti e utili”. Si ottiene così una massimizzazione dei benefici personali, indipendentemente dal contesto sociale e dalle influenze emotive. 

Contrariamente a questa concezione dell’uomo, recenti evidenze sperimentali evidenziano come il comportamento umano sia influenzato nel processo decisionale anche da emozioni e componenti irrazionali: “Ad esempio, i nostri processi decisionali possono essere influenzati da norme e valori di una società e condizionare scelte decisionali anche di natura economica”. Morese porta ad ulteriore esempio la decisione di non trarre dei vantaggi di tipo personale se questo implica il poter rispettare norme e valori importanti all’interno di un gruppo sociale o comunità di riferimento.

“Il cervello umano non smette mai di imparare...”

“Il nostro cervello è plastico, quindi in continuo cambiamento non solo durante l’infanzia e l’adolescenza, ma nell’intero arco della nostra vita”. Ciò significa che: “Gli stimoli ambientali, il continuo adattamento alle sollecitazioni esterne o interne come ad esempio attraverso i ricordi, possono rappresentare dei processi di apprendimento. A livello neurofisiologico nuove connessioni, quindi sinapsi, sono possibili grazie alle continue stimolazioni che avvengono nel tempo”. Allora comprendiamo perché imparare a guidare, oppure imparare una nuova lingua, “sottostanno allo stesso meccanismo neurofisiologico del processo di apprendimento”.

La nostra interlocutrice spiega che, al contrario: “Quando non utilizziamo piu’ delle competenze, in modo funzionale il nostro cervello ottimizza le proprie risorse ed elimina le sinapsi non utilizzate”. Questa incredibile capacità del nostro cervello rende evidente l’importanza del contesto sociale in cui siamo inseriti, “soprattutto rispetto a fattori protettivi che favoriscono un ambiente ricco di stimoli sociali e culturali”.

“Impariamo sempre di più, ma siamo esploratori o tendiamo ad essere abitudinari?”

Tutti sappiamo che essere abitudinari fa parte della nostra vita in modo determinante: dal preparare il caffè alla mattina, fino alla strada da compiere per andare al lavoro; dal lavarsi i denti a mettersi il pigiama. Ma perché? Morese spiega che: “Un’abitudine che si è consolidata nel tempo da una serie di comportamenti riflette il consolidamento di una serie di sinapsi sottostanti a delle connessioni cerebrali di aree del cervello. Creare nuove abitudini significa apprendere qualcosa di nuovo, quindi questo richiede nuove risorse ed energie anche in termini neurofisiologici con la sollecitazione nel tempo del consolidamento di nuove sinapsi”.

Allora, potremmo affermare che impariamo costantemente e allo stesso modo durante tutta la vita. Oppure il nostro cervello può “imparare a disimparare”?

Entra in gioco quella che le moderne neuroscienze definiscono come “plasticità” del nostro cervello”. Ovvero: la capacità di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità secondo l’attività dei propri neuroni, correlata, ad esempio, a stimoli ricevuti dall’ambiente esterno. Una sorta di “reazione” del cervello che si plasma e adatta ad ogni situazione, facendone tesoro. Così ce la spiega la nostra interlocutrice:

“La plasticità del nostro cervello ci accompagna nell’arco dell’intero ciclo della nostra vita, ma in particolar modo durante l’adolescenza, quando avviene in modo consistente il processo sinaptico chiamato “pruning” o potatura”. Spiega che questa sorta di potatura consiste nello sfoltimento di una quantità consistente di sinapsi considerate “superflue” rispetto ad altre in uso:

“Tale processo fa riferimento alla capacità del cervello adolescente di massimizzare ed essere maggiormente permeabile ai processi di apprendimento degli stimoli ambientali, preparando la struttura del cervello adulto.

“Il nostro cervello si nutre di esperienze: è più facile imparare qualcosa che dimenticare un brutto evento”

Allora, possiamo pensare che quando tentiamo di cambiare un nostro comportamento, è come se il cervello ci mettesse i bastoni tra le ruote. Ma Rosalba Morese ci rende attenti sul ruolo importante delle emozioni che entrano in gioco proprio a questo punto: “Le recenti evidenze in ambito psicologico e neuroscientifico hanno dimostrato come le emozioni giochino un ruolo importante nel veicolare nuovi processi di apprendimento, oppure nel creare ricordi negativi associati a un’esperienza vissuta”.

Questo spiega che anche imparare qualcosa di nuovo può essere coadiuvato da emozioni positive, oppure ostacolato da quelle negative: “È importante ricordare che i sistemi legati ai processi di motivazione sono strettamente associati alla piacevolezza o non piacevolezza di un’esperienza; si pensi ad esempio al contesto scolastico e come possa essere importante considerare l’impatto delle emozioni nei processi di apprendimento”.

“L’Alzheimer colpisce 35 milioni di persone al mondo, e la sua incidenza è in aumento, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione”

La complessità del cervello si riflette nella difficoltà di intervenire per curarlo quando dovesse ammalarsi. L’organo più importante del nostro corpo è anche quello più inaccessibile, perché protetto dalle ossa del cranio, dalle meningi (tre membrane che lo rivestono) e dalla barriera ematoencefalica che, situata fra i vasi sanguigni e il tessuto nervoso, ha il compito di impedire l’ingresso di molti agenti infettivi (anche se non tutti), di parecchie sostanze chimiche nocive, come pure dei farmaci.

La salute del nostro cervello è strettamente correlata a quanto e come lo preserviamo dall’ammalarsi. Molto si può fare, proprio attraverso questo concetto che, riassunto in una sola parola, si chiama PREVENZIONE. La “ricetta” per mantenere i nostri neuroni in buona salute ce la confida il direttore medico e scientifico del Neurocentro della Svizzera Italiana Alain Kaelin:

“Sono sei i pilastri che sostengono la prevenzione per la salute del cervello: lo stile di vita che riassume i nostri contatti sociali, il contenimento dello stress e via dicendo; l’attività mentale regolare con la quale dobbiamo sempre tenerlo in allenamento e attivo; l’attività fisica e il movimento consoni con l’età e lo stato di salute della persona non devono mai mancare (ndr: ricordiamo Ippocrate che ci insegna Mens sana in corpore sano); una sana alimentazione, il sonno che non è solo rigenerante ma permette pure una sorta di “fare pulizia” nel cervello; e una buona funzione intestinale”.

Ma sarebbe troppo semplice pensare che praticare con diligenza tutti questi precetti sia sufficiente per mantenere il nostro cervello per sempre giovane, spiega Kaelin: “Innanzitutto, l’invecchiamento non è un errore della natura, ma qualcosa di fisiologico; noi lo dimentichiamo perché abbiamo il tabù della morte. Mentre in realtà, dal punto di vista della natura, l’invecchiamento è un processo che permette la rigenerazione e favorisce i cambiamenti”.

Secondo il professore, la morte è parte integrante della nostra vita, perché la natura ha stabilito proprio questo.

“Tutti speriamo di invecchiare senza demenze, con un cervello che funziona ancora a dovere; d’altro canto, dicevamo che l’invecchiamento è un processo naturale. Allora, non ci resta che provare a invecchiare restando in buona salute il più a lungo possibile”.

“L’utopia è pensare di restare per tutta la vita con un cervello giovane come a vent’anni”

Percorrendo il processo di sviluppo del cervello, il professor Kaelin spiega che questo inizia nel grembo materno e continua fino a un’età molto avanzata: “Ad esempio, nell’età adulta si consolidano le interconnessioni tra la regione cerebrale preposta alla razionalità e quella che gestisce le nostre emozioni. Ad esempio, lo dimostrano i test neuroscientifici che analizzano le competenze linguistiche per i quali i settantenni possono anche ottenere risultati migliori dei cinquantenni”.

Anche le neuroscienze, come la medicina, non sono una scienza esatta ma in continua evoluzione e non tutti i ricercatori sono sempre concordi: “Ma in un certo senso, possiamo dire che il cervello nel corso della vita cambia un po’ come i muscoli: allenandolo diventa più performante”. Quindi, per analogia: “Si comprende anche che il cervello diventa meno flessibile se non viene sollecitato a sufficienza”.

Ha un fascino tutto suo sapere che la capacità di apprendere per tutta la vita, insieme alla flessibilità mentale quasi illimitata, sono peculiarità dell’essere umano. Le nostre.

Allora possiamo chiederci come mai spesso gli adulti smettono di percorrere strade nuove, e talvolta perdono la voglia di imparare cose nuove, restando sempre più ancorati alle consuetudini che restringeranno inevitabilmente gli orizzonti.

“Dovremmo prendere esempio dai bambini e dalla loro voglia di scoprire. Dovremmo sempre coltivare la nostra curiosità verso la vita”.

Non esiste una ricetta specifica per mantenere il nostro cervello il più in salute possibile: “Non c’è nulla di meglio che condurre una sana vita sociale, vederci con gli amici, fare ciò che ci può far piacere, percorrere strade nuove, imparare cose nuove (una lingua, cucinare, suonare uno strumento musicale...), dedicarsi a un’attività sportiva, ad andare a passeggiare in montagna...”

In poche parole, il professor Alain Kaelin ci ricorda che basterebbe condurre semplicemente una vita attiva!